di Gigi Proietti
C’era una volta una grande tenda da circo, dove un giorno non si sentirono più i
ruggiti dei leoni ma rumori di teatro: quel circo si era trasformato in un teatro
tenda. Per lo spettacolo servivano un paio di pantaloni neri, una camicia bianca
e una cassa che nel tempo si è riempita di personaggi e di storie e sonetti e
novellacce, alcuni approdati sulla scena, altri rimasti nascosti nel camerino. A
cominciare dalla grande rappresentazione sacra di Giubileo, passando da
Gaetanaccio a Edmund Kean, Gigi Proietti, o meglio il dottor Divago, racconta
in questo libro di mondi perduti e di altri vicinissimi a noi.
Sono novellacce dietro le quinte, rubate tra una battuta di scena e l’altra,
battibecchi fra le sarte e i giovani attori, ma anche squarci di cronaca come la
decisione di quel sindaco che voleva cancellare S.P.Q.R. e sostituirlo con
RoMe&You. E tra un racconto e l’altro fanno capolino molti sonetti e poesie,
annotati di corsa dietro una scaletta, poco prima di cambiare l’abito e
riaggiustare il trucco. Il risultato è un racconto nel racconto di pensieri arruffati,
atti unici, odori, abitudini che segnano il ritorno di un grande affabulatore
capace di far sorridere e commuovere con le sue cronache ad alto tasso di
romanità. E non solo, perché questo diario-de-camerino è un’occasione per
vedere il lavoro dell’attore da vicino, spiarne la meticolosità maniacale,
l’incanto ossessivo che da finzione diviene realtà per ogni spettatore.